COME UN VECCHIO SCALATORE DI MONTAGNA
Quando il Cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, arcivescovo di Genova, morì (il 13 marzo 1938) un giornalista suo amico scrisse: “Come un vecchio scalatore di montagna, non temeva né fuggiva gli ostacoli: li affrontava, anzi, con ardire. Né si contentava di segnare il cammino agli altri, ma li assecondava in ogni modo, finche la meta non fosse raggiunta.”
Sul suo stemma episcopale era inciso il motto “Una quies in veritate”. Esso descrive la passione dell’eminentissimo teologo e sociologo: l’anima tormentata era sempre in movimento per raggiungere la verità, per poter poi in questa sola riposare.
Il Cardinale Minoretti nacque a Cogliate S. Dalmazio il 17 settembre 1861 e nello stesso giorno fu battezzato coi nomi di Carlo Dalmazio. Settimo di undici figli, apparteneva a una di quelle famiglie patriarcali in cui l’amore e la fedeltà alla Chiesa costituiscono una tradizione che non si discute. È proprio vero che la fiducia nella vita si acquista anche da genitori che ce la comunicano con la loro stessa fiducia, con quella fede, che vedeva in ogni bambino che nasce un dono di Dio, che va rispettato e accompagnato a scoprire che la vita è un dono che riceviamo per farne a nostra volta dono per gli altri: questo è il segreto della gioia. Così educarono i loro figli Fabio e Giuseppina Camagni e se ne videro i frutti: da quella famiglia uscirono un religioso, il Padre Camillo, medico chirurgo dei Fatebenefratelli, direttore del manicomio di Venezia e provinciale dell’Ordine; un professionista integro e stimato, l’ingegnere Angelo, autore del progetto della chiesa parrocchiale di Cogliate; due suore Maestre dell’Ordine Domenicano.
All’indole vivace e irrequieta, Carlo Dalmazio univa una capacità d’ingegno che faceva presagire i migliori successi negli studi a cui era stato avviato ben presto, dapprima nel collegio di S. Martino in Mozzate, dove lo zio Don Antonio era vice rettore, poi nel seminario di S. Pietro in Seveso, quindi a Monza. Nel corso della sua vita egli si è sempre manifestato con quella semplicità di costume e con quella fierezza d’animo, che aveva ereditato dalla terra dove era nato. Tanto è vero che, a chiunque fosse toccato il primo incontro con lui, occorreva restare come perplesso e intimorito, tanto imponente era la sua figura di vescovo e di Principe della Chiesa.
Poche parole, ma uno sguardo penetrante, che sembrava leggere in fondo all’anima. Poi a poco a poco la fisionomia dell’uomo si addolciva, e si notava quella delicatezza d’animo, che avvinceva e conquistava ogni persona.
Per capire la mirabile e complessa figura del Cardinal Minoretti basta fissare lo studio sopra tre punti essenziali: pietà, studio, carità. In queste tre meravigliose attività il Cardinale Minoretti fu veramente grande.
Venne ordinato sacerdote da S.E. Mons. Luigi Nazari dei Conti di Calabiana, Arcivescovo di Milano, il 22 dicembre 1883. Celebrò la sua prima messa il giorno di Natale, nella vecchia chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista.
Da allora in poi la vita del Minoretti conoscerà tre periodi distinti: professore, parroco e vescovo.
IL PROFESSORE
La formazione dell’anima, iniziata nella religiosissima famiglia, curata e sviluppata nel seminario, offre subito i suoi frutti preziosi: così che il sacerdote buono e il vescovo santo ben si sposano col maestro dottissimo, a cui tutti si inchinano. Le doti del suo ingegno lo fecero apprezzare come uno dei maggiori teologi del suo tempo. Si distinse specialmente nella sociologia tanto da essere paragonato ad un altro sommo sacerdote del tempo: Giuseppe Toniolo, fondatore dell’Università Cattolica di Milano.
Insegnante nel seminario di Poleggio (Svizzera) prima, passò poi come docente di filosofia nel seminario di Lugano, non tralasciando di esercitare anche la funzione di parroco a Gandria (Svizzera).
Durante quel periodo di studi il giovane sacerdote approfondì la filosofia di San Tommaso d’Aquino. Era l’epoca in cui Leone XIII richiamava gli uomini di Chiesa allo studio di San Tommaso, sviscerando le bellezze della “Summa Theologica”. Il Prof Minoretti, seguendo l’invito del Santo Padre, dava tutto se stesso con giovanile entusiasmo alle direttive romane, studiando ed insegnando secondo la mente dell’Aquinate.
Dal seminario di Lugano passò a quello arcivescovile di Monza a insegnare filosofia.
In quel periodo il pensiero del Minoretti si concretizzò in numerose opere e lavori pregiatissimi religiosi e sociali, pubblicati sulla prestigiosa rivista “La Scuola Cattolica”.
A distanza di un secolo possiamo riconoscere il contenuto profetico dei suoi numerosissimi scritti. “In mezzo ad una società materialmente progredita, religiosamente regredita, il sacerdote non può presentarsi rispettato ed ascoltato se non fornito a dovizia di un’ampia cultura teologica ed economica; con questa a nessuno sarà secondo nell’aiutare il popolo; con quella saprà difendere e diffondere le ragioni della fede. È stato detto che la soluzione della questione sociale non si avrà che attraverso ad inondazioni di sangue, od inondazioni d’amore. La seconda è il nostro ideale, le fonti donde deve sgorgare tale fiumana irrompente di carità sono i cuori dei sacerdoti. Amatelo, o sacerdoti, il popolo, memori che fu amato da Gesù Cristo e dalla Chiesa, amatelo, poiché sotto rozze spoglie batte un cuore.” In altre parole, per Don Minoretti il prete deve animare la società con la sua santità.
Questa sua vasta cultura filosofica e teologica, il criterio fermo e positivo, la lucidità del pensiero gli valsero poi la nomina a professore di teologia al corso superiore di San Tommaso e a dottore effettivo del collegio teologico del seminario arcivescovile di Milano. E dopo due anni, per la sua ricca conoscenza di tutti i problemi riguardanti l’economia sociale, i superiori lo chiamarono a succedere al maestro Giuseppe Toniolo.
Tra i due ci fu una profonda e costante intesa. Frutto di questa intesa fu l’opera più importante di Don Minoretti, gli “APPUNTI DI ECONOMIA SOCIALE”, pubblicati nel 1901-1902. Erano rivolti ai futuri sacerdoti, cui raccomandava: “L’azione della Chiesa si esplica nella predicazione dei principi di giustizia e di carità, nel propugnare l’inviolabilità della persona umana nella sua libertà; e pur difendendo il diritto di proprietà ne risveglia il concetto cristiano, ricordandone i limiti.”
Egli scrisse anche un “Catechismo dei doveri civili del cristiano”.
Il Cardinale Minoretti fu anche chiamato a presiedere le Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
Questo è il periodo che possiamo chiamare centrale delle attività culturali del Minoretti: perché in esso egli ha saputo dimostrare con la parola e gli scritti la chiarezza e la continuità di un pensiero sempre geniale e la sodezza di una dottrina perfetta, che lo resero noto e stimato in tutto il mondo intellettuale cattolico.
IL PARROCO
Nel maggio 1909 don Minoretti lascia la scuola e va prevosto nella grossa borgata di Seregno.
Qualcuno poteva pensare che il passaggio dall’insegnamento alla vita parrocchiale non rispondesse del tutto al professor Minoretti.
Invece l’esperimento avuto in gioventù a Gandria non lo lasciò insensibile alla cura della parrocchia.
I poveri, i malati e la gioventù furono il fuoco della sua passione sacerdotale. Il pulpito, il confessionale e specialmente l’oratorio lo trovarono sempre pronto ed infaticabile.
Così passò sei anni di fecondo apostolato nella grande prevostura di Seregno, nella quale edificò i suoi figli traducendo in consolante realtà il grido dell’Apostolo Paolo: “Charitas Christi urget nos”.
Un capitolo così luminoso della vita del Cardinal Minoretti si chiudeva con la voce di Papa Benedetto XV, che lo donava a Crema come vescovo.
Fu consacrato vescovo il 16 gennaio 1916, dal Cardinal Ferrari, nella stessa prepositurale di Seregno.
Il ministero episcopale a Crema durò nove anni: e sono un lungo racconto di attività ininterrotte, spese per la diocesi con generosa larghezza.
Il clero, il seminario, le singole parrocchie furono sempre oggetto delle cure intelligenti del vescovo, vigile, attivissimo, che sapeva prodigarsi per il bene spirituale di tutti e largheggiava in opere di evangelica carità.
Siamo negli anni della Prima Guerra Mondiale e il Vescovo Minoretti si è fatto ardente promotore di ogni forma di assistenza alle famiglie dei soldati.
Chi avrebbe potuto colmare tante lacune? Il Vescovo Minoretti era ovunque con il suo pronto intervento, con la parola buona e con paterna sollecitudine: andò pure e volentieri a supplire nell’Ospedale Militare il cappellano, che era ammalato, e per tutto il tempo della malattia.
Dopo la vittoria, quando le regioni agricole d’Italia erano particolarmente devastate dal socialismo materialistico e le teorie di Marx e Lenin si infiltravano tra i rurali, il grande sociologo Minoretti, con la parola e con gli scritti, denunciò il pericolo di quella ubriacatura di idee e di sangue. Chiamò poveri e ricchi, proprietari e lavoratori alla carità e alla giustizia; convinto che nessun altra forma di attività avrebbe potuto sanare tante ferite all’infuori della collaborazione amorosa di classe, basata sullo spirito del Vangelo.
IL VESCOVO
Il 16 gennaio 1925 Mons. Minoretti fu promosso Arcivescovo di Genova, dove entrò la domenica 31 maggio, solennità di Pentecoste.
A Genova le virtù personali e le attività pastorali del Cardinale Minoretti si sublimano ancora di più. Dapprima egli mirò a sviluppare continuamente la vita dei seminari diocesani preparando ottimi insegnanti.
Primo fiore in ordine di tempo e di merito, sbocciato sotto lo sguardo vigile e buono del Minoretti, è il Cardinale Giuseppe Siri, suo successore alla stessa cattedra arcivescovile.
L’amore del Cardinal Minoretti verso il gregge, che il Santo Padre gli aveva affidato, lo spinse a costruire continuamente nuove parrocchie, almeno dove maggiormente affluiva la popolazione bisognosa di ogni cura.
Per far arrivare ogni giorno una parola buona anche ai confini più lontani, non solo dell’arcidiocesi ma di tutta la regione ligure, il Cardinale Minoretti fece rivivere, anche con immenso sacrificio personale, il quotidiano cattolico “Il nuovo cittadino”, sventolando di nuovo una storica bandiera tanto gloriosa per la Chiesa e per la Patria.
Il Cardinale Minoretti fu però consapevole che la carità intellettuale e morale, tutti la vogliono, ma basata sulla carità materiale.
Ed ecco che egli se ne fece il primo apostolo, perché fu sempre primo fra tutti a dare e a dare con generosità. La massima evangelica “è meglio dare che ricevere” ha trovato nel Minoretti un autentico e fedele seguace.
Quando qualcuno spinto dalla necessità gli si rivolgeva, Mons. Minoretti apriva il cassetto, estraeva quanto denaro vi si trovava e lo consegnava dicendo: “Fin che ce n’è, il vescovo ne dà.”
La carità del Cardinal Minoretti a Genova divenne proverbiale: l’hanno toccata con mano quanti batterono alla porta del suo grande cuore; l’hanno toccata con mano tanti sacerdoti, che hanno trovato in lui conforto ed aiuto; l’hanno toccata con mano le molteplici istituzioni di beneficenza della diocesi, che egli ha sempre prediletto ed assistito.
Il cuore del Cardinale Minoretti fu il cuore di un padre, che ha dispensato tesori immensi di bene verso tutte le miserie e i dolori della vita: fu il cuore dell’uomo di governo, che ha sempre curato, anche nei minimi dettagli, la diocesi che Dio gli aveva affidato.
Per questo è doveroso riconoscere che quando Pio XI, nel concistoro del 16 novembre 1926, insieme agli eminenti Goncalvez, Lavitrano, Mac Rory, Verdier e Pacelli, creava Cardinale di Santa Romana Chiesa, col titolo presbiteriale di Sant’Eusebio l’Arcivescovo Minoretti, non faceva che coronare con lo splendore della sacra porpora un sacerdote secondo il cuore di Dio, un maestro illuminato, un vescovo attivissimo.
Fu esaltato infatti nel Cardinal Minoretti un uomo che seppe prodigarsi generosamente in un ministero apostolico tanto intelligente e tanto fecondo in ogni campo d’azione, in ogni forma di bene.
Il nuovo lustro arrecato alla sua persona non ha mutato per nulla il clima, il tono e le abitudini del Cardinale Minoretti: egli, sempre confuso per tanto onore, cercava di nascondere ancora di più i suoi meriti. Un giorno un povero uomo si è lasciato sfuggire una frase, apparentemente offensiva, ma in realtà molto onorifica: incontrando il Cardinale durante la sua quotidiana passeggiata, rivolto ai suoi compagni di lavoro disse: “Vedete? È dei nostri.” Egli voleva dire: “è modesto, è povero, è umile, come noi.” E senza accorgersene aveva fatto del Cardinale Minoretti il migliore elogio.
CONTRO I TOTALITARISMI
Pochi giorni dopo la sua creazione cardinalizia, mentre l’Italia si incamminava verso una pacificazione tra Stato e Santa Sede, che mostrava già qualche difficoltà, e mentre si consolidava la dittatura fascista, il Cardinale Minoretti pronunciò queste parole: “Or bene, come l’egoismo individuale non giustifica la spoliazione del prossimo a proprio vantaggio, così nessun popolo per il suo vantaggio può spogliare un altro popolo.”
Ci voleva coraggio per dire, e ripetere in seguito, parole così severe verso i totalitarismi, che hanno insanguinato il XX secolo.
Proprio nei giorni nei quali si volle la chiusura dei circoli cattolici, Genova stava preparando l’inaugurazione del Monumento ai Caduti in piazza della Vittoria; la cerimonia era stata stabilita con la partecipazione del Re Vittorio Emanuele III stesso. Naturalmente, la benedizione del Monumento doveva essere impartita da S.E. il Cardinale Arcivescovo; ed il Prefetto, il Federale e il Podestà si erano recati dal Cardinal Minoretti per l’invito ufficiale.
Nonché proprio in quei giorni, in conseguenza della chiusura dei circoli cattolici ordinata da Mussolini, la polizia fascista aveva arrestato, fra gli altri, il commendator Santolini, presidente dell’Azione Cattolica, accusandolo di non si sa quali manovre politiche sovvertitrici ai danni dello Stato.
Il Cardinal Minoretti aveva energicamente protestato e chiesto l’immediata scarcerazione dei cattolici arrestati e specialmente del Santolini, ed a questa scarcerazione aveva nettamente subordinato il suo intervento alla cerimonia suddetta.
Il Prefetto ed il Podestà, sconcertati dalla ferma decisione del Cardinale, ribatterono che la decisione dipendeva da Roma.
“Bene - rispose il Cardinale - se per il giorno dell’inaugurazione Santolini non sarà rilasciato, io non verrò a benedire il monumento e manderò un mio ausiliare.”
“Ma Eminenza - protestarono - sarà presente il Re in persona!”
Ma il Cardinale Minoretti rimase fermo sulle sue posizioni senza cambiare una virgola. Venne il giorno dell’inaugurazione. Il rito della cerimonia doveva svolgersi alle ore 9. Il Re era già sul posto, ma del Cardinale nessuna traccia. Le autorità, confuse, impallidivano, fremevano… il Re aspettava con evidente disappunto. Finalmente alle ore 10, ecco giungere austero e disinvolto S.E. il Cardinale con al fianco il commendator Santolini in persona. Glielo avevano dovuto scarcerare e recare in Arcivescovado lì per lì. E lui, il Cardinale, quando glielo avevano portato dinanzi, gli disse: “E adesso venga con me e proprio al mio fianco, alla benedizione del Monumento ai Caduti, in piazza della Vittoria, dove Sua Maestà il Re ci aspetta da più di un’ ora!” Diversi uomini politici aprirono poi discussioni col vescovo circa i fatti avvenuti, ma egli risoluto troncò il discorso: “è inutile che continuiamo a parlare, voi siete dell’anno nono (cioè dell’era fascista), io sono dell’anno 1931 (dell’era cristiana)!”.
Qualche anno dopo il Cardinale Minoretti fu invitato a celebrare una messa di suffragio per i caduti fascisti. Il Cardinale non si rifiutò. Ma nell’omelia, rivolgendosi ai gerarchi, disse: “Signori, noi siamo qui per suffragare le anime di coloro che sono caduti per la loro fede in un’idea. E sta bene. però da questo stesso altare noi non dobbiamo dimenticare i caduti dell’altra parte.” Queste parole furono pronunciate fra lo stupore delle autorità politiche.
L’ultimo anno della sua vita terrena (1938), nel cortile del liceo intitolato a Cristoforo Colombo, tra una calca di studenti, professori e autorità politiche si festeggiavano con la premiazione gli alunni più benemeriti e il Cardinale Minoretti era stato, come al solito, invitato.
In quella circostanza, ricorrendo il bimillenario dell’imperatore romano Augusto, il professore più anziano era stato incaricato di tenere il discorso ufficiale, e partendo dalle legioni romane, avrebbe dovuto giungere - come d’obbligo - alla gloria dell’impero nuovo di Mussolini.
L’oratore dopo aver percorso i lontani secoli di storia, parve impappinarsi sulla “gloria attuale”… ma ecco toglierlo d’impaccio il Cardinale Minoretti che, rivolgendosi direttamente ai giovani, disse: “Cari giovani, il vostro bravo professore vi ha celebrato l’impero di Augusto, ma io vi ricordo che dopo Augusto salirono al trono imperiale: Tiberio, Caligola e Nerone. Il che significa che gli imperi si possono anche fondare e conquistare con la forza, ma se non si reggono con la giustizia e la libertà, finiscono in … Nerone!”
A questa frase si levò un applauso fragoroso dalla folla di studenti e professori che faceva ben capire su quale terreno fertile fosse stata lanciata l’osservazione. Ancora una volta le autorità politiche si guardarono allibite.
“UNA QUIES IN VERITATE”
Il giorno 11 febbraio del 1938, mentre parlava della Immacolata di Lourdes alla Associazione UNITALSI, il Cardinale Minoretti ebbe un accenno di malore.
Durò in vita ancora un mese fra gli alti e i bassi del corso della malattia.
Morì serenamente il 13 marzo, giorno in cui le milizie di Hitler occupavano l’Austria, iniziando la serie ignominiosa di quelle sopraffazioni che dovevano precipitare l’Europa e il mondo nella immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
I suoi funerali hanno dimostrato la stima, la devozione e la venerazione di Genova al suo Cardinale. Non fu mai vista tanta manifestazione di cordoglio da parte di ogni ceto di persone.
Il nome del Cardinale Minoretti non è ancora tramontato. Egli rimane nel ricordo di tutti, con la sua vita integra, con il suo zelo, con il suo apostolato di ministero.
Le sue ultime parole forse possono stimolare anche noi, così facilmente tentati di rassegnazione: “Il pessimismo non è un sentimento di buona lega, come non serve ad ingagliardire l’azione né a migliorare i costumi. Il pessimismo è un’offesa alla Provvidenza di Dio, del quale si vorrebbe indebolire la bontà e la potenza. Al mondo v’è del bene, e molto bene, anche se rimane talora nascosto agli occhi superficiali, anche se non è esaltato.” Converrà sempre ricordarcelo.